Lettera aperta all’Arcivescovo di Milano Mario Delpini di padre Luciano Mazzocchi

 

Amatissimo Arcivescovo Mario, nella festa di Santa Caterina patrona d’Italia, la speranza potente, mistica, creativa di questa donna ritorni ad animare la nostra Chiesa e società italiana.

Tra le tante voci che le giungono circa la nostra presenza come Chiesa in questo tempo e in questa terra italiana, le chiedo di ascoltare anche la voce di un anziano missionario, già in Giappone e ora in Milano. Subito le confesso che riconosco il valore sacro del luogo della preghiera e soffro quando seduto nel confessionale del Duomo sento e vedo molto più turismo che preghiera. Quando, dopo una faticosa scalata, si approda all’Abbazia di San Pietro al Monte, viene spontaneo affidare il proprio corpo affaticato all’abbraccio dell’edificio sacro e sostare nell’armonia vetusta e umile di quelle pietre che monaci e pellegrini hanno scolpito, irrorandole di sudore, a volte, anche di gocce di sangue. Infine ci si  sente uno con le rocce, con i boschi, con i prati, con il sole, e ovviamente con tutti coloro che hanno pregato in quel luogo.

Detto questo, ho avvertito profondo disgusto, una vera ferita, alla frase che in questi giorni i mass media ci hanno riportato come espressione della Conferenza Episcopale Italiana: “E’ stata violata la libertà di culto!”, perché il 4 maggio non sarà ancora permesso radunarci nelle chiese e celebrare la cena del Signore come abbiamo fatto fino al gennaio scorso. Tutti, quel giorno, lo attendiamo ardentemente come patrimonio comune. Come già le ho scritto, rinchiuso nella mia stanza mi domando se io non sia un codardo, perché nel frattempo molti anziani, dopo una vita di fede robusta e generosa, si trovano ad esalare l’ultimo respiro senza la carezza dei loro cari e senza che un sacerdote spalmi sul loro corpo la goccia d’olio che purifica e lenisce le ferite per il passaggio all’eternità.

Eppure quella frase: “E’ stata violata la libertà di culto!”, a noi riportata come espressione della Conferenza Episcopale, lascia profondo disgusto. Qualora ci fosse data la possibilità di scegliere se ritrovarci a celebrare l’eucaristia prima delle altre aperture, oppure se attendere che prima i bambini possano andare a giocare nel parco, e gli adolescenti ritornare a fare rumore nelle strade, e i neo-laureati attraversare Piazza Duomo con il serto di alloro sul capo, e gli adulti ritornare al lavoro… non dovremmo forse fare la scelta dell’attesa? Io non ho mai visto mia madre andare a riposare prima di noi sei figli e di altri due co-fratelli che, rimasti orfani durante la guerra, i genitori avevano accolto in casa con noi.

Le racconto di un vecchio sacerdote, da decenni parroco di Vita, un comune trapanese vicino a Calatafimi. Io ero direttore della Caritas diocesana di Mazara del Vallo (1988-1993) e il vecchio sacerdote mi aveva chiesto di dargli una mano per il servizio pastorale alla sua gente. La cittadina di Vita, distrutta dal terremoto della Valle del Belice nel 1968, era ormai tutta ricostruita, ma la chiesa parrocchiale non ancora. Si celebrava in un capannone sempre gremito di centinaia di fedeli. Gli chiesi come mai, mentre le chiese parrocchiali di altre città distrutte dallo stesso terremoto erano già state ricostruite, quella di Vita non ancora. “Sono stato io a chiedere esplicitamente alla commissione governativa per la  ricostruzione che la chiesa fosse l’ultima a essere ricostruita. I bambini in chiesa passano alcune ore la settimana, ma in casa passano giornate e giornate intere. Mi piacerebbe che la ricostruzione si realizzi mentre io sono ancora vivente. Ma non è importante. Prima del terremoto, nella bella chiesa che avevamo, veniva meno gente a messa. Adesso il capannone è sempre pieno e sono costretto a chiederti di darmi una mano”. Per bontà di Dio, senza mia scelta, ho vissuto due decenni di vita missionaria in Giappone. Il film Silence di Scorsese ha reso noto a molti la fede dei cristiani nascosti giapponesi, che per oltre due secoli la tramandarono da generazione in generazione senza la presenza di alcun sacerdote, quindi senza la celebrazione eucaristica, pregando di notte per sfuggire alla persecuzione terribile dello shōgun. Alla nascita di un bambino, il capo famiglia gli versava l’acqua del battesimo sul capo: l’unico sacramento di tutta la sua vita. Riconosciuta la libertà di culto nel 1871, i cristiani nascosti, finalmente liberi, costruirono con le loro mani, assecondando quanto dettava la fede ereditata dagli antenati, alcune chiesette umili, dallo stile familiare. Usarono bambù, legno, mattone, paglia di riso, ma, a parte queste differenze materiali, sono così simili a San Pietro al Monte o al battistero della Basilica Romana di Agliate. Il 30 giugno del 2018 l’Unesco ne ha inserite 12 nel Patrimonio dell’umanità. Bambù, terriccio, paglia, legno: patrimonio dell’umanità!

A conclusione la Sua Parola: “Viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… in cui i veri adoratori adoreranno in spirito e verità” (Gv 4,21-24).

Amatissimo Arcivescovo, Grazie di cuore.

p. Luciano Mazzocchi, missionario saveriano